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mercoledì 29 ottobre 2008

....e ora privatizziamo l'acqua....ma non diciamolo a nessuno


La notizia è passata quasi inosservata, ma l’Italia ha deciso che la sua acqua 5 agosto può essere privatizzata. La denuncia arriva da Padre Alex Zanotelli attraverso una lettera inviata a Beppe Grillo.
Per l’esattezza il provvedimento è contenuto nell’articolo 23 bis del
decreto legge numero 113, comma 1, firmato dal ministro G. Tremonti dove si dà il via alle privatizzazioni dei servizi offerti dai diversi enti.

Ed ecco cosa recita il primo comma dell’art. 23 bis:
-Le disposizioni del presente articolo disciplinano l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, in applicazione della disciplina comunitaria e al fine di favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale in ambito locale, nonche’ di garantire il diritto di tutti gli utenti alla universalità ed accessibilità dei servizi pubblici locali ed al livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettere e) e m), della Costituzione, assicurando un adeguato livello di tutela degli utenti, secondo i principi di sussidiarietà, proporzionalità e leale cooperazione. Le disposizioni contenute nel presente articolo si applicano a tutti i servizi pubblici locali e prevalgono sulle relative discipline di settore con esse incompatibili.

L’approvazione è avvenuta con il consenso dell’opposizione e più precisamente del
PD. Come scrive Zanotelli nella sua lettera:
-Tutto questo con l’appoggio dell’opposizione, in particolare del PD, nella persona del suo corrispettivo ministro-ombra Lanzillotta (una decisione che mi indigna, ma non mi sorprende, vista la risposta dell’on.Veltroni alla lettera sull’acqua che gli avevo inviata durante le elezioni!). Così il governo Berlusconi, con l’assenso dell’opposizione, ha decretato che l’Italia è oggi tra i paesi per i quali l’acqua è una merce.

venerdì 24 ottobre 2008

Come controllare la formazione delle radici

La scoperta, con importanti ricadute in campo agricolo e ambientale, può chiarire anche processi come la specializzazione delle cellule staminali animali


Ricercatori del VIB dell'Università di Ghent hanno scoperto la sostanza che controlla la formazioni delle ramificazioni laterali delle radici nelle piante, e i meccanismi con cui essa agisce.

I ricercatori, che descrivono la loro scoperta in un articolo pubblicato su "Science", hanno identificato in una proteina, chiamata ACR4 l'elemento chiave di questo processo: a seconda dei segnali ambientali che riceve dall'ambiente essa innesca o meno il meccanismo che porta alla formazione di ramificazioni della radice.

Promuovere un esteso sistema radicale aiuta le piante ad assorbire più nutrienti, a crescere più rapidamente e a richiedere meno fertilizzanti. Queste piante possono anche crescere più facilmente in terreni aridi o poco fertili. Inoltre uno sviluppo radicale più vasto può essere utile in tutte quelle situazioni in cui è utile rallentare i fenomeni erosivi o arginare gli smottamenti di terreno.

Per contro, il rallentamento della formazione di ramificazioni secondarie della radice può consentire una maggiore resa da parte delle piante tuberose, come le patate o le barbabietole da zucchero, che investiranno tutta l'energia disponibile nella produzione di nutrienti.

Tom Beeckman, Ive De Smet e Valya Vassileva hanno in particolare studiato su Arabidopsis thaliana come la pianta determina quali cellule devono iniziare a dare origine alle ramificazioni. A questo scopo hanno utilizzato una particolare tecnologia che ha reso posibile lo sviluppo sincrono delle ramificazioni in momenti differenti, in modo da isolare le cellule responsabili.

Successivamente hanno analizzato i geni attivi in tali cellule per confrontarli con quelli normalmente attivi nella divisione cellulare, riuscendo così a identificare uno specifico gruppo di geni che controlla la divisione cellulare asimmetrica e invia il segnale per la formazione della ramificazione. A questo punto sono riusciti a identificare un gene che codifica per un recettore che si è dimostrato responsabile della divisione cellulare asimmetrica e quindi della formazione delle ramificazioni.

I ricercatori osservano che la scoperta può avere ricadute anche in altri ambiti della ricerca biologica, dato che la divisione cellulare asimmetrica ha un ruolo di primo piano anche nei processi di specializzazione delle cellule staminali animali e in alcuni tipi di cancro.

lunedì 20 ottobre 2008

Nature.com :"Cut-throat savings" UNIVERSITA' ITALIANA

In an attempt to boost its struggling economy, Italy's government is focusing on easy, but unwise, targets.

It is a dark and angry time for scientists in Italy, faced as they are with a government acting out its own peculiar cost-cutting philosophy. Last week, tens of thousands of researchers took to the streets to register their opposition to a proposed bill designed to control civil-service spending (see page 840). If passed, as expected, the bill would dispose of nearly 2,000 temporary research staff, who are the backbone of the country's grossly understaffed research institutions — and about half of whom had already been selected for permanent jobs.

Even as the scientists were marching, Silvio Berlusconi's centre-right government, which took office in May, decreed that the budgets of both universities and research could be used as funds to shore up Italy's banks and credit institutes. This is not the first time that Berlusconi has targeted universities. In August, he signed a decree that cut university budgets by 10% and allowed only one in five of any vacant academic positions to be filled. It also allowed universities to convert into private foundations to bring in additional income. Given the current climate, university rectors believe that the latter step will be used to justify further budget cuts, and that it will eventually compel them to drop courses that have little commercial value, such as the classics, or even basic sciences. As that bombshell hit at the beginning of the summer holidays, the implications have only just been fully recognized — too late, as the decree is now being transformed into law.

Meanwhile, the government's minister for education, universities and research, Mariastella Gelmini, has remained silent on all issues related to her ministry except secondary schools, and has allowed major and destructive governmental decisions to be carried through without raising objection. She has refused to meet with scientists and academics to hear their concerns, or explain to them the policies that seem to require their sacrifice. And she has failed to delegate an undersecretary to handle these issues in her place.

Scientific organizations affected by the civil-service bill have instead been received by the bill's designer, Renato Brunetta, minister of public administration and innovation. Brunetta maintains that little can be done to stop or change the bill — even though it is still being discussed in committees, and has yet to be voted on by both chambers. In a newspaper interview, Brunetta also likened researchers to capitani di ventura, or Renaissance mercenary adventurers, saying that to give them permanent jobs would be "a little like killing them". This misrepresents an issue that researchers have explained to him — that any country's scientific base requires a healthy ratio of permanent to temporary staff, with the latter (such as postdocs) circulating between solid, well equipped, permanent research labs. In Italy, scientists tried to tell Brunetta, this ratio has become very unhealthy.

The Berlusconi government may feel that draconian budget measures are necessary, but its attacks on Italy's research base are unwise and short-sighted. The government has treated research as just another expense to be cut, when in fact it is better seen as an investment in building a twenty-first-century knowledge economy. Indeed, Italy has already embraced this concept by signing up to the European Union's 2000 Lisbon agenda, in which member states pledged to raise their research and development (R&D) budgets to 3% of their gross domestic product. Italy, a G8 country, has one of the lowest R&D expenditures in that group — at barely 1.1%, less than half that of comparable countries such as France and Germany.

The government needs to consider more than short-term gains brought about through a system of decrees made easy by compliant ministers. If it wants to prepare a realistic future for Italy, as it should, it should not idly reference the distant past, but understand how research works in Europe in the present.

Impulsi cerebrali

I risultati vanno a completare il mosaico di conoscenze sull’attività neuronale della corteccia cerebrale e sulla sua influenza sul comportamento

I neuroni nelle regioni cerebrali che elaborano i suoni sono esperti cronometristi: con incredibile precisione, inviano impulsi elettrici in sincronia con gli input che ricevono dagli altri neuroni, anche quando questi sono separati da intervalli di tempo estremamente ridotti.

A studiare il fenomeno nei ratti si è messo un gruppo di neuroscienziati del Cold Spring Harbor Laboratory (CSHL), dimostrando come la temporizzazione degli impulsi nei neuroni corticali possa influenzare il comportamento anche in intervalli di tempo minuscoli e con precisione finora insospettabile. Secondo i dati raccolti in particolare sulla corteccia uditiva, sembra che gli animali che stanno per prendere una decisione sono in grado di distinguere segnali separati da circa tre millisecondi.

I risultati, pubblicati sulla versione online della rivista “Nature Neuroscience" vanno a completare il mosaico di conoscenze sull’attività neuronale della corteccia cerebrale e sulla sua influenza sul comportamento. Secondo gli attuali modelli, il comportamento è determinato dal numero di impulsi nell’unità di tempo. Il gruppo del CSHL, guidato da Anthony Zador, ha cercato di determinare se le variazioni in tale tasso possano avere qualche influenza sulla presa di decisioni.

Grazie a un sofisticato apparato sperimentale, i ratti sono stati addestrati a bere da un dispensatore di acqua invece che da un altro in risposta a uno stimolo uditivo prima, e poi a uno stimolo comunicato direttamente alla corteccia con un impulso elettrico. In questo secondo caso, si è visto che la risposta corretta permane finché due stimoli successivi non sono separati da tre millisecondi.

“Ciò suggerisce che la corteccia è in grado di ‘leggere’ sfumature estremamente precise per determinare il comportamento del’animale”, ha concluso Zador.

Le conclusioni dello studio sembrano avere anche una notevole portata teorica. L’attuale modello del funzionamento neuronale postula che l’impulso sia più veloce quando veicola informazione. Ciò implica che l’informazione è in qualche modo legata al tasso di impulsi. Zador e colleghi invece ora propongono un modello diverso, in cui è lo schema degli impulsi e non la loro frequenza a essere cruciale.

venerdì 17 ottobre 2008

La risposta al Papa da parte della Scienza

Scoperto un meccanismo di accesso al DNA che potrebbe rivelarsi importante nella strategia di cura di diverse malattie genetiche.


"Qui non posso entrare": non è solo un avvertimento per i nostri amici a quattro zampe, ma anche un messaggio genetico. Molti dei nostri geni, infatti, non vengono letti e interpretati dalla cellula per il semplice fatto che è come se fossero dietro a una porta chiusa.

E che il complesso macchinario cellulare addetto a trasformarli in proteine non ha la chiave per entrare. Un caso particolare è quello descritto nello studio pubblicato su PLoS Biology da ricercatori dell'Istituto Telethon Dulbecco (DTI) diretti da Davide Corona, grazie ai finanziamenti di Telethon e della Fondazione Giovanni Armenise-Harvard.

Protagoniste del lavoro sono due proteine: la prima, ISWI, scoperta dal gruppo di Corona nel 2007, ha la peculiare capacità di determinare la forma dei cromosomi, indicando al DNA come e quanto deve impacchettarsi su se stesso.

L'importanza di questa proteina è confermata dal fatto che nel corso dell'evoluzione si è conservata quasi del tutto intatta: quella di Drosophyla melanogaster è uguale per il 90 per cento a quella umana e svolge praticamente la stessa funzione.

Fra gli oltre cento geni che interagiscono con ISWI, uno si è imposto all'attenzione dei ricercatori, quello che esprime la proteina PARP. Noto finora per lo più per il suo ruolo nella riparazione dei danni al DNA, il gene di PARP ha rivelato una stretta relazione con ISWI: è infatti in grado di mettere una sorta di bandierina chimica su questa proteina e di bloccarne l'attività.

"Il risultato è che, venendo meno l'attività di ISWI, il DNA risulta meno impacchettato e i geni fino a quel momento inaccessibili possono essere espressi. In altre parole, si aprono le porte che prima erano sprangate", spiega Anna Sala, una delle collaboratrici di Corona e autrice di questo studio.

Questo risultato, oltre a rappresentare un passo avanti delle conoscenze sui meccanismi epigenetici, potrebbe contribuire a nuove strategie di cura. Esistono infatti delle forme tumorali e diverse malattie genetiche - come la sindrome di Williams - che potrebbero essere legate anche a un problema di accesso al DNA.

Non a caso, caratteristica comune di queste patologie così diverse è quella di essere multisintomatiche: questo perché alla base non c'è l'alterazione in un singolo gene, ma in un meccanismo che regola più geni.

Ma ancora più promettente è il fatto che esistono dei farmaci, che sono in grado di bloccare l'attività di PARP: si potrebbe quindi pensare che, in una sorta di effetto domino, ISWI non venga più "spento" e che venga aperta la porta di quei geni prima inaccessibili. Basti dire che, come è emerso da una speciale analisi computerizzata, i ricercatori hanno visto che ISWI è in grado di influenzare l’espressione del 5 per cento dell’intero genoma.

mercoledì 15 ottobre 2008

Non toccate Saviano

NAPOLI - Non ha mai parlato ne' e' a conoscenza di un piano del clan dei Casalesi per attentare alla vita dello scrittore Roberto Saviano.
Queste, in sintesi, le dichiarazioni rese dal pentito della camorra Carmine Schiavone che e' stato interrogato oggi dal procuratore aggiunto di Napoli Franco Roberti e dal pm della Dda Antonio Ardituro.

Il collaboratore di giustizia Carmine Schiavone, secondo una relazione di servizio fatta da addetti alla sicurezza e poi trasmessa alla Dda di Napoli, era l'autore della segnalazione del progetto di attentato ai danni di Saviano.
La procura di Napoli prosegue gli indagini per accertare le modalità della diffusione della segnalazione.

Omicidi a Napoli
ANNO MORTI
1980
134
1981
193
1982
264
1983
204
1984
155
1985
155
1986
107
1987
127
1988
168
1989
228
1990
222
1991
223
1992
160
1993
120
1994
115
1995
148
1996
147
1997
130
1998
132
1999
91
2000
118
2001
80
2002
63
2003
83
2004
139
2005
90
2006
97
2007
121[1]
2008
36[2]
Carmine Schiavone, cugino del capo dei Casalesi Francesco Schiavone detto Sandokan, è diventato collaboratore di giustizia agli inizi degli anni Novanta.
Le sue rivelazioni hanno determinato condanne, tra cui numerosi ergastoli, inflitte a boss e gregari della potente cosca attiva nel Casertano.
Vive in una località protetta da tempo con una nuova identità.

Il pentito è stato interrogato dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia in una località segreta, probabilmente una caserma dei carabinieri o della polizia.
Secondo fonti giudiziarie, Schiavone "ha smentito categoricamente" sia di essere a conoscenza del piano dei Casalesi per eliminare Saviano sia di aver mai parlato di tale progetto.





FAX SANDOKAN CONTRO SCRITTORE, BASTA CALUNNIE - Il leader dei casalesi, Sandro 'Sandokan' Schiavone, detenuto nel carcere di Opera in regime di 41 bis avrebbe inviato un fax al suo avvocato in cui, senza mai nominarlo, minaccia Roberto Saviano.
La notizia è stata rivelata nel corso della registrazione di Matrix in cui è presente lo stesso scrittore.


Il fax sarebbe stato spedito l'11 settembre ad uno degli avvocati di Sandokan e contiene alcune righe su Saviano che aveva da poco concluso un intervento al Festival della Letteratura di Mantova.

"Questo grande romanziere - sarebbe il testo del fax inviato da Sandonkan - che fa il portavoce di chissà chi deve smettere di fare illazioni calunniose false su di me non solo in conferenza stampa, ma poi riportate sul giornale Repubblica che lo leggono milioni di persone, accostandomi a signori che non ho mai conosciuto".


martedì 14 ottobre 2008

A Berlusconi

lunedì 13 ottobre 2008

Dal DNA al cognome....si può?

Nonostante diverse difficoltà, fra cognomi e cromosoma Y permane uno stretto legame, che attraverso un archivio dati di cognomi e cromosomi Y, potrebbe essere di notevole interesse per le ricerche forensi.

Fra i suoi fiori all'occhiello, l'Università di Leicester vanta la scoperta da parte di Alec Jeffreys della tecnica oggi utilizzata per l'identificazione delle persone con il DNA, ossia quella nota come impronta digitale genetica. Ora i suoi ricercatori stanno pensando di fare un ambizioso salto in avanti: trovare il modo di associare, con elevata probabilità, a un DNA anonimo un cognome.

La premessa della ricerca è la constatazione che in Gran Bretagna i maschi che portano uno stesso cognome hanno con elevata probabilità un qualche legame genetico e che tale probabilità è, ovviamente verrebbe da dire, più alta quanto più il cognome è raro.

"In Gran Bretagna i cognomi passano di padre in figlio. Una parte del nostro DNA, il cromosoma Y, che caratterizza i maschi, è anch'esso ereditato di padre in figlio, può quindi esistere un legame fra il cognome di un uomo e il tipo di cromosoma Y di cui è portatore. In linea di principio, il legame potrebbe essere semplice, in realtà tuttavia le cose possono essere più complesse. I cognomi britannici sono vecchi di centinaia di anni e possono avere molti fondatori. Eventi come adozioni, cambiamenti di nomi, e nascite illegittime rendono poi confuso questo legame".

"Oggi, con le tecniche genetiche è possibile isolare il cromosoma Y dagli altri e sperare di trovare un legame fra un particolare cognome e un particolare tipo di cromosoma Y", ha detto Turi King, la ricercatrice che ha condotto al ricerca. "Per cognomi come Smith che deriva da quello della professione di fabbro (blacksmith) più persone possono averlo preso in origine e quindi a esso invece di un solo tipo di cromosoma Y saranno associati più tipi di cromosoma Y. D'altra parte i nomi rari possono avere un unico fondatore e tutti quelli che lo portano discendono da lui e possono essere collegati in un unico albero familiare."

In ogni caso, però, la ricerca della King - che ha preso in esame 2500 uomini con 500 cognomi - ha mostrato che due maschi che abbiano lo stesso cognome hanno la probabilità del 24 per cento di condividere un antenato, probabilità che sale al 50 per cento nel caso di cognomi non comuni.

Secondo King la ricerca mostra dunque che fra cognomi e cromosoma Y permane uno stretto legame, che potenzialmente, attraverso un archivio dati di cognomi e cromosomi Y, potrebbe essere di notevole interesse per le ricerche forensi.

Università che non si sà!


Il 6 agosto scorso il Parlamento Italiano ha convertito in legge il decreto 112/08in merito a 'disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria'. All'interno si parla di alcune manovre riguardanti l'Università, in particolare:

- riduzione dei fondi (500 milioni in meno in tre anni), con il rischio per molti corsi, facoltà o addirittura atenei di chiudere i battenti.

- blocco del turn-over del personale, che viene ridotto al 20% per i prossimi 3 anni (in pratica ogni 5 pensionamenti ci sarà, forse, un'assunzione). Per i ricercatori questo significa dire addio a ogni prospettiva di carriera universitaria.... come se già in Italia fossero molte!

- possibilità per gli atenei che non riuscissero ad andare avanti con i fondi pubblici di diventare fondazioni private. Il che implica non solo che le tasse di iscrizione potranno sfondare il tetto massimo attuale (anche di 10 volte), ma anche una subordinazione dell'alta formazione a finaziamenti legati a logiche di mercato (la morte della ricerca libera).

A seguito di ciò i ricercatori di facoltà dell'Università di Firenze come Scienze, Ingegneria, Architettura, Scienze della Formazione, hanno sospeso la loro disponibilità a tenere corsi (cosa che per i ricercatori equivale ad attività di volontariato). Nella sola Facoltà di Scienze questo blocca 136 corsi!

I professori ordinari e associati hanno appoggiato la protesta e organizzato assemblee ed incontri con gli studenti per spiegare le conseguenze di questa legge sul futuro universitario.
Anche altre università si sono mobilitate contro il decreto.

La situazione che si prospetta per l'istituzione universitaria nel giro di 2 o 3 anni è gravissima, nonostante ciò, giornali e televisioni non danno risalto a questo problema e molti studenti ne sono completamente all'oscuro.
Per questo dobbiamo muoverci in prima persona e dimostrare che non possiamo permettere una tale svalutazione del nostro futuro.

Robot dalla Corea. Ecco Mahru!

Alcuni scienziati sudcoreani hanno messo a punto un robot che, oltre a fare diversi lavori di casa, e' capace di ballare.
Il robot inoltre e' capace di imitare espressioni facciali e gesti umani.
Creato nell'Istituto per la scienza e la tecnologia di Seul, l'umanoide, battezzato Mahru, e' in grado di muovere le labbra, le sopracciglia, le pupille, di fare le boccacce e anche di gesticolare, mimando cosi' una reazione ''emotiva'' a ordini o sollecitazioni esterne.

domenica 12 ottobre 2008

Onde evitare........

E' l'unico abitante della Terra a possedere un pezzetto di Luna, o almeno cosi' sostiene il turista spaziale americano Richard Garriot.
Garriot, che domani partira' per la stazione orbitante Iss, ha detto di avere acquistato un 'Lunakhod', un veicolo lunare di epoca sovietica che si trova ancora sulla superficie del satellite. 'Nessun paese puo' possedere un territorio al di la' della terra. Cosi' io possiedo la superficie di Luna dove si trova il mio Lunakhod', ha scherzato.



Un po' sulla Luna

La Luna e' il corpo celeste piu' vicino alla Terra e l'unico, finora, parzialmente esplorato dall'uomo, durante le missioni Apollo. E' per noi l'astro piu' brillante in cielo dopo il Sole, anche se si tratta di luce solare riflessa. La luminosita' apparente della Luna e' 450000 volte minore di quella del Sole.
La Luna ha sempre affascinato l'uomo per la sua luminosita' e per le variazioni periodiche del suo aspetto, le fasi.
La superficie della Luna e' ben visibile a causa della mancanza di un'atmosfera. La sua massa, infatti, e' pari a 73,5 miliardi di miliardi di tonnellate (7,35 1025 g), insufficiente per trattenere le molecole di un gas; questo provoca grandi sbalzi di temperatura sulla superficie del satellite: essa varia tra la notte e il giorno da -233 oC a +123 oC.
L'aspetto della Luna testimonia la grande importanza che hanno avuto gli urti meteoritici nel passato del nostro Sistema Solare. Gia' ad occhio nudo vi si possono distinguere regioni chiare ed altre piu' scure. In passato, le prime vennero impropriamente dette "continenti" e le seconde "mari", in analogia con la superficie terrestre.
In realta' i mari sono aree pianeggianti, piu' scure e poste a quote inferiori a quelle piu' chiare. Il piu' grande dei mari lunari e' l'Oceanus Procellarius (oceano delle Tempeste), due volte piu' esteso del Mar Mediterraneo. I mari si sono formati probabilmente per collasso di zolle di roccia sottostante.
I continenti sono invece delle zone pianeggianti in rilievo, dalla morfologia varia.
Oltre ai crateri, sul nostro satellite si distinguono faglie e dorsali di lunghezza di decine di Km, cioe' fratture della crosta con scorrimento di masse rocciose in senso verticale e orizzontale, formate forse durante il raffreddamento della Luna, inoltre vi si trovano vere e proprie catene montuose che costituiscono le pareti dei mari, formate per accumulo di materiale ai bordi dall'impatto di grossi meteoriti.
Le cime piu' elevate raggiungono i 9000 metri di altezza.
La superficie lunare e' ricoperta da "regolith", una miscela di polvere e detriti rocciosi prodotta per disgregazione di meteoriti, dello spessore variabile dai 2 agli 8 metri.
Recentemente, e' stata rivelata dalla sonda Clementine la presenza di acqua ghiacciata in alcuni crateri attorno al polo sud lunare.

mercoledì 8 ottobre 2008

Beviamo a manetta

Tra i partecipanti allo studio, è stato registrata una riduzione media del 2 per cento in meno nel rischio di cancro del polmone associata a ogni bicchiere di vino rosso consumato al mese


Un moderato consumo di vino rosso può diminuire il rischio di cancro del polmone, secondo i risultati di uno studio pubblicato sull’ultimo numero della rivista “Cancer Epidemiology, Biomarkers & Prevention”, organo dell’American Association for Cancer Researce
"Un componente antiossidante contenuto nella bevanda può essere di beneficio soprattutto per i fumatori”, ha spiegato Chun Chao, ricercatore del Kaiser Permanente Department of Research and Evaluation di Pasadena, in California, che ha condotto lo studio.

Chao e colleghi hanno analizzato i dati raccolti grazie al California Men's Health Study, che ha collegato i dati clinici del sistema sanitario californiano con quanto riportato dai questionari compilati da 84.170 uomini di età compresa tra 45 e 69 anni.

I ricercatori hanno avuto a disposizione grafici e dati sugli stili di vita di indagini effettuate tra il 2000 e il 2003, che hanno evidenziato 210 casi di tumore del polmone.

Si è così potuto misurare la correlazione tra il consumo di birra, vino rosso e liquori e il rischio di insorgenza di questo particolare tipo di cancro, controllando il rischio per età, etnia educazione, status economico, indice di massa corporea e anamnesi per patologie dell’apparato respiratorio ed eventuale storia di tabagismo.

Tra i partecipanti allo studio, è stato registrata una riduzione media del 2 per cento in meno nel rischio di cancro del polmone associata a ogni bicchiere di vino rosso consumato al mese. La riduzione più sostanziale si è però registrata tra i fumatori che hanno dichiarato di consumare due bicchieri di vino rosso al giorno.

I ricercatori hanno infatti riscontrato in tale circostanza una riduzione del rischio del 60 per cento. In ogni caso, sottolineano i ricercatori, il rischio di neoplasie a carico del polmone resta superiore nei fumatori: la migliore prevenzione resta sempre l'abbandono del tabagismo.

venerdì 3 ottobre 2008

Come il cognome può cambiare la vita

Quando porti nome e cognome di un personaggio importante, vip e politico, non sempre la tua vita ti riserva episodi comici, come si pensa, a volte puo' diventare un "inferno". Il telefono di casa che squilla "h24", i fan che ti assediano la casa e altre 'rotture' varie. E' quanto emerge da un'indagine del settimanale "Grazia" (domani in edicola) che ha intervistato persone comuni che hanno pero' la sfortuna di chiamarsi con nomi celebri.

Si comincia con la signora Monica Bellucci, 38 anni, bionda con gli occhi azzurri, vive a Roma, è casalinga e madre di tre figli. Ha molti ammiratori che la insidiano e un giorno, stufa di un pretendente che si struggeva per la vera Bellucci, ha deciso di vendicarsi: gli ha dato un appuntamento davanti ad un teatro e poi non si è presentata.
Poi c'è Maria De Filippi, di Bologna, quando ha cercato di segnalare un guasto alla linea telefonica si è sentita rispondere dall'operatore: "Che fa signora, ci prende in giro?".
L'omonima di Simona Ventura, invece, vive in Emilia e fa l'operaia in una fabbrica di pompe idrauliche: "Sono bionda come Simo, ma ho gli occhi azzurri. E ogni volta che ricevo promozioni gratuite dalle compagnie telefoniche mi chiedo come mai". E aggiunge: "Io Stefano Bettarini me lo sarei tenuto in casa volentieri...".
Di Giulio Andreotti in Italia ce ne sono cinque. L'omonimo napoletano del senatore a vita di mestiere fa il venditore ambulante di ricambi per elettrodomestici e ogni tanto, confessa a Grazia, a chi gli domanda se sia parente del noto politico risponde: "Sì, cosa le serve?".
Più audace il signor Bruno Vespa, omonimo del conduttore di Porta a Porta. Ora è in pensione ma prima faceva il muratore e un giorno ha tentato di dare una svolta alla sua vita chiamando proprio Vespa alla Rai, per chiedergli un lavoro.
Due omonimi di Umberto Bossi non si divertono affatto a portare questo nome: come Bossi vivono nella provincia di Varese ma non sono affatto leghisti.
Sono addirittura cinque i Gianfranco Fini che vengono dall'Emilia come il leader di Alleanza Nazionale. Uno di loro in particolare è fiero del nome che porta anche se milita nel partito di Walter Veltroni e sopporta con pazienza le battute e gli scherzi dei suoi compagni di partito quando fa il volontario alle feste dell'Unità. Solo una volta è venuto meno ai suoi principi: davanti ad una poliziotta che voleva multarlo per guida senza cintura di sicurezza, non ha chiarito la sua estraneità con il leader della destra. Ha mostrato la sua carta d'identità e se n'è andato contento di non aver ricevuto la multa.
Antonio Di Pietro, romano, fa il pilota dell'Alitalia e racconta: "Ho ricevuto diversi messaggi d'amore indirizzati all'ex magistrato. Quando l'ho incontrato sull'aereo l'ho abbracciato e gli ho detto "Che momenti mi hai fatto passare"! Oramai è come se fossimo parenti". Non tutti però la prendono con filosofia.
I tre Riccardo Scamarcio che vivono nella stessa cittadina pugliese (Andria) in cui è nato l'attore, non ne possono più di lettere, telefonate e assedi da parte della ragazzine che non si arrendono neanche davanti all'evidenza.

giovedì 2 ottobre 2008

Nell'800 prima epidemia di Hiv

Il confronto fra due ceppi di Hiv relativamente antichi - fra cui due risalenti al 1959 e al 1960 - ha permesso di calibrare la velocità di evoluzione del virus.
La prima diffusione dell'Hiv sarebbe avvenuta molto prima di quanto finora ipotizzato, in particolare avrebbe iniziato a diffondersi fra il 1884 e il 1924, nel periodo in cui si è assistito ai primi fenomeni di urbanizzazione nell'Africa centro-occidentale.

Questo è il risultato di una nuova ricerca diretta da Michael Worobey dell'Università dell'Arizona a Tucson per conto del National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID) e della David and Lucile Packard Foundation e pubblicata su "Nature".

Per arrivare a questa conclusione i ricercatori hanno analizzato una serie di campioni di tessuti, identificando una delle più antiche sequenze genetiche dell'Hiv-1 del gruppo M, che data agli anni sessanta. Confrontano le sequenze con decine di altre sequenze del virus di epoche diverse i ricercatori sono riusciti a costruire diversi possibili alberi evolutivi del virus e a stabilire i suoi probabili tassi di cambiamento nel corso del tempo.

Grazie a nuove tecniche, i ricercatori hanno potuto isolare i geni dell'Hiv da un tessuto linfonodale conservato sotto cera appartenuto a una donna di Kinshasa nel 1960. Il confronto con il genoma dell'Hiv estratto da un campione di sangue di un uomo deceduto, sempre a Kinshasa, nel 1959 - la più vecchia sequenza genetica del virus Hiv del gruppo M di cui si disponga - ha mostrato una divergenza genetica fra i due virus che doveva risalire quanto meno a 40 anni prima.

"Per la prima volta siamo stati in grado di confrontare due ceppi di Hiv relativamente antichi. Ciò ci ha permesso di calibrare la velocità di evoluzione del virus e avanzare ipotesi ragionevoli sul periodo in cui esso ha fatto la sua comparsa fra gli esseri umani, sulla velocità di crescita da quel tempo e su quali fattori abbiano permesso al virus di diventare un patogeno di successo dell'uomo"

La ricerca ha mostrato che l'Hiv si è diffuso inizialmente dagli scimpanzé all'uomo nel Camerun sud-orientale, per sfruttare poi l'iniziale crescita urbanistica di alcune città e in particolare quella di Kinshasa, ma diffondendosi anche in altre aree del Congo, della Repubblica Centrafricana, del Gabon e della Guinea equatoriale, regioni nelle quali già negli anni sessanta doveva esserci un rilevante numero di persone infette, come è provato dalla ampia diversità genetica presente nel virus.

Chernobil 20 anni dopo

Nel suolo svedese è presente un picco per il 239Pu e il 240Pu a una profondità coincidente con quella di Chernobil, una circostanza che non ha riscontro nel suolo polacco

Quando nel 1986 esplose il reattore nucleare di Chernobil, in Ucraina, gli elementi radioattivi vennero dispersi sull’Unione Sovietica, sull’Europa e anche sulle regioni orientali del Nord America.A più di 20 anni di distanza, i ricercatori della Case Western Reserve University si sono recati in Svezia e in Polonia per ottenere informazioni sulla migrazione dei radionuclidi nel suolo, e i risultati sono stati presentati al convegno congiunto della Geological Society of America, della Soil Science Society of America, dell’American Society of Agronomy, della Crop Science Society of America e della Gulf Coast Association of Geological Societies di Houston.

La conclusione più importante è che a una profondità nel suolo corrispondente a quella dell’esplosione nucleare, in Svezia è stato trovato molto più plutonio che in Polonia.

Gerald Matisoff, direttore del Dipartimento di scienze geofisiche della Case Western Reserve University, in collaborazione con Lauren Vitko ha raccolto campioni di suolo in varie località dei due paesi, al fine di misurare l’abbondanza relativa e assoluta di cesio (137Cs), plutonio (239, 240Pu), e piombo (210Pb).

Per quanto riguarda la portata del fallout radioattivo, la sua velocità di diffusione nel suolo, il suo tasso di erosione e come viene trasportato dai sedimenti, i ricercatori hanno chiarito in particolare due ambiti: l’impatto per la salute pubblica e la differenziazione nella distribuzione degli elementi radioattivi a partire da un unico evento come quello di Chernobil o come i test di esplosione in atmosfera degli anni sessanta.

Dall’analisi dei campioni raccolti, si è evidenziato nel suolo svedese un picco per il 239Pu e il 240Pu a una profondità coincidente con quella di Chernobil, una circostanza, questa, che non trova riscontro nel suolo polacco.

Dalle registrazioni meteorologiche storiche si è poi ottenuta una spiegazione plausibile: all'epoca dell’esplosione, mentre la nube radioattiva sorvolava il paese il tempo era piovoso sulla Svezia. Ciò ha portato una maggiore quantità di radionouclidi sul suolo svedese dilavandoli dalle nubi che poi sono arrivate in Polonia.