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giovedì 30 aprile 2009

Estinzione dei dinosauri: dubbi sulla teoria dell'asteroide

La scomparsa di un gran numero di specie vegetali e animali potrebbe essere stato determinato dall'effetto serra causato dalle eruzioni dei Trappi del Deccan, in India.


Fu davvero l'impatto di un asteroide a porre fine, 65 milioni di anni fa, all'esistenza del 65 per cento delle specie viventi, e dei dinosauri in particolare?

La risposta definitiva a questa domanda non è stata ancora data: nonostante alcuni ricercatori ritengano che le tracce geologiche nei pressi del cratere di Chicxulub, in Messico, possano rappresentare “la pistola fumante” del drammatico evento, tale conclusione è messa in dubbio da altri studi. L'ultimo in ordine di tempo è quello pubblicato sull'ultimo numero della rivista “Journal of the Geological Society”.

Il cratere, scoperto nel 1978 nel nord dello Yucatan, misura circa 180 chilometri di diametro e porta impresse le tracce dell'impatto di un oggetto extraterrestre enorme. Quando i detriti dell'impatto, dalla caratteristica forma a sferetta, furono trovati appena al di sotto degli strati corrispondenti al limite Cretaceo/Terziario (K-T), questo fatto fu considerato una prova dell'evento che pose fine all'esistenza dei dinosauri oltre a quella di molte altre specie vegetali e animali.

Da questa nuova analisi effettuata da Gerta Keller della Princeton University, nel New Jersey, e Thierry Adatte dell'Università di Losanna, in Svizzera, emerge invece che i residui dell'impatto di Chicxulub precederebbero il limite K-T di 300.000 anni.

"Dagli scavi di El Penon e di altre località del Messico, si sa che gli strati compresi tra quattro e nove metri di profondità nei sedimenti si depositarono al ritmo di due/tre centimetri per migliaio di anni dopo l'impatto. Il livello dell'estinzione di massa può essere osservato nei sedimenti al di sopra di questo intervallo”, ha spiegato la Keller.

I sostenitori della teoria dell'impatto ritengono invece che il cratere e l'estinzione di massa appaiono distanti negli registrazioni dei sedimenti solo a causa di un terremoto o di uno tsunami provocati dallo stesso impatto dell'asteroide.

"Il problema della teoria dello tsunami è che il complesso di arenaria non si è depositato dopo ore o giorni: per la deposizione occorse un periodo di tempo molto lungo", ha continuato la Keller.

Nel corso dello studio infatti si è trovato che i sedimenti che separano i due eventi sono caratteristici di condizioni normali con tanto di cinicoli corrispondenti a tane scavate da organismi che colonizzavano il fondo oceanico, e di fenomeni di erosione e di trasporto di sedimenti ma senza traccia di disturbi strutturali.

Gli scienziati, inoltre, hanno concluso che non esistono prove convincenti del fatto che l'impatto di Chicxulub ebbe l'effetto drammatico sulla diversità delle specie che è stato sostenuto in passato. In un sito di El Penon, infatti sono state trovate 52 specie presenti nei sedimenti al di sotto dello strato delle sferule da impatto, e altre 52 nello strato al di sopra.

La spiegazione alternativa, ha concluso la Keller, è che le eruzioni dei Trappi del Deccan, in India, potrebbero essere stati responsabili dell'estinzione, per effetto del massiccio rilascio di polveri e gas che avrebbero bloccato la luce solare e creato un notevole effetto serra.

venerdì 10 aprile 2009

Adam e Co.: i primi robot che fanno ricerca

Un robot che fa una piccola, nuova scoperta nel campo della genomica e un computer che riscopre, da solo, le leggi del moto sono al centro di due articoli di "Science".

Si prospetta un futuro della ricerca senza uomini e tutto in mano a una macchina intelligente? Niente paura: "Fisici come Newton e Keplero avrebbero potuto usare un computer per far girare questo algoritmo per ottenere le leggi che spiegano la caduta di una mela o il moto dei pianeti in poche ore di calcolo. Ma un essere umano è comunque necessario per scegliere i 'mattoni costitutivi ' e il quadro di riferimento opportuni, come pure per esprimere a parole e dare un'interpretazione delle leggi trovate dal computer", tiene a sottolineare Hod Lipson, ch efirma con i suoi collaboratori uno dei due articoli.

Il primo studio descrive un sistema robotico in grado di progettare e condurre esperimenti biologici, valutarne i risultati e decidere quali ulteriori esperimenti sono necessari. Il secondo descrive un algoritmo in grado di scoprire le equazioni che caratterizzano sistemi dinamici non lineari complessi, ricavate dalla semplice osservazione di quei sistemi.

I ricercatori della Aberystwyth University e dell'Università di Cambridge diretti da Ross King hanno progettato un robot, che hanno chiamato Adamo, per automatizzare il processo di ricerca.

"Dato che gli organismi biologici sono molto complessi, è importante che i dettagli degli esperimenti siano rilevati e studiati nel miglior dettaglio possibile. Una cosa difficile e noiosa per l'uomo, ma semplice per il robot scienziato", dice King

Alla fine il robot ha fatto una semplice ma nuova scoperta sulla genomica del lievito Saccharomyces cerevisiae, che i ricercatori hanno poi sottoposto a un controllo sperimentale indipendente in modo da verificare se l'ipotesi avanzata da Adam fosse effettivamente corretta.

Grazie ai suoi sistemi di intelligenza artificiale, Adam ha infatti ipotizzato che certi geni del lievito codificassero per specifici enzimi che catalizzano alcune reazioni chimiche all'interno della cellula, per poi progettare esperimenti per il controllo dell'ipotesi, interpretarne risultati e ripetere il ciclo fino al raggiungimenti di un'ipotesi finale. Adam è un prototipo, ma i ricercatori del gruppo di King sono convinti che già il prossimo robot che stanno mettendo a punto, Eva, possa essere impiegato nella progettazione di nuovi farmaci.

I ricercatori della Cornell University Hod Lipson e Michael Schmidt hanno invece ideato un programma in grado di identificare regolarità nel mondo naturale e considerarle leggi di natura, senza che precedentemente fosse inserita nel suo computer alcuna conoscenza scientifica. Successivamente hanno testato il loro algoritmo su un sistema meccanico semplice, con risultati che li hanno portati a ritenere che possa essere applicato a sistemi più complessi, quali quelli biologici o cosmologici, dove spesso è necessario analizzare montagne di dati conservati in archivi elettronici.

Il processo inizia con la misurazione del modo in cui cambiano una rispetto all'altra tutte le variabili osservate; successivamente il computer crea una serie di equazioni casuali usando diverse costanti e variabili relative ai dati, per testarle sull'insieme di derivate precedentemente calcolate. A questo punto il computer conserva solo le equazioni che più si avvicinano ai dati reali le modifica nuovamente in modo casuale, le ri-testa, proseguendo nella procedura fino a ottenere una descrizione accurata del comportamento del sistema reale.

L'algoritmo di Lipson e Schmidt è stato ottenuto come raffinamento di uno precedente che esi avevano elaborato per postruire un piccolo riobot, chiamato "starfish" (nella foto), che semplicemente osservandola propria immagine era in grado di individuare la presenza di eventuali danni e procedere ad aggiustarsi.

I ricercatori sottolineano che il computer evolve queste leggi senza disporre di precedenti leggi fisiche o geometriche, anche se per farlo, ha bisogno di un certo tempo: su un computer parallelo a 32 processori ha impiegato alcune ore per identificare la legge del pendolo semplice e fra le 30 e 40 per quella del pendolo doppio.

martedì 7 aprile 2009

Pronte le nuove batterie a virus

Le nuove batterie, che sfruttano batteriofagi modificati con l'ingegneria genetica, hanno le stesse capacità e prestazioni delle attuali batterie utilizzate nelle auto ibride


E' possibile modificare geneticamente dei virus per trasformarli nei poli di una batteria al litio: a dimostrarlo è stato un gruppo di ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (MIT) che illustrano i loro risultati in un articolo su "Science".

Le nuove batterie a virus hanno potenzialmente la stessa capacità e prestazioni delle attuali batterie utilizzate nelle auto ibride e potrebbero essere utilizzate, osserva Angela Belche, che ha diretto la ricerca, per alimentare un'ampia gamma di apparecchiature elettroniche.

I virus utilizzati dai ricercatori sono comuni batteriofagi, virus che infettano cioè i batteri ma che sono del tutto innocui per l'uomo.

Queste batterie, dicono i ricercatori, possono essere prodotte a costi contenuti e con processi ambientalmente compatibili, dato che la loro sintesi avviene a temperatura ambiente e sfrutta solventi organici non tossici, come non tossici sono anche gli altri componenti.

Nelle tradizionali batterie al litio ioni di questo elemento fluiscono fra un anodo, solitamente di grafite, e un catodo di ossido di cobalto. Tre anni fa Belcher e collaboratori erano riusciti a produrre virus ingegnerizzati che potevano fungere da anodo in quanto si costruivano un involucro contenente ossido di cobalto e oro, per poi auto-assemblarsi in nanospire.

Ora i ricercatori sono riusciti anche nell'impresa - ben più difficile in quanto si tratta di ottenere una struttura molto conduttrice - di produrre un catodo virale altamente efficiente, ingegnerizzando dapprima dei virus che usano fosfato di ferro per costruire il proprio involucro, che poi possono essere assemblati in nanotubi di carbonio, ottenendo un materiale altamente conduttore.

Un prototipo della batteria a virus è stata presentata alla Casa Bianca nel corso di una conferenza stampa in cui Obama parlava della necessità di aumentare i finanziamenti a favore delle nuove tecnologie elettriche pulite.

Macchine e Formiche: traffico sempre fluido nel mondo delle formiche

Riescono a muoversi mantenendo la loro velocità e una distanza costante una dall'altra anche con densità di traffico sempre più elevate grazie a uncomportamento fortemente cooperativo.


Quando il traffico aumenta, tipicamente diventa sempre meno fluido e la velocità rallenta e abbastanza frequentemente si arriva a un blocco temporaneo. Se questa è una regola costante per le nostre strade, non lo è invece per le formiche: anche quando la densità di traffico aumenta notevolmente, come spesso capita, la sua velocità non ne è influenzata né si formano mai blocchi, come se al posto di un nugolo di insetti quel percorso fosse frequentato solo da pochi individui.
La scoperta è stata fatta da un gruppo di ricercatori tedeschi, indiani e giapponesi che ha studiato il comportamenti di una specie di formiche Leptogenys processionalis e firmano un articolo in proposito sule "Physical Review Letters".

"Il nostro studio dimostra chiaramente che il traffico delle formiche è molto differente da quello veicolare", spiega Andreas Schadschneider, dell'Università di Colonia e di Bonn. E solleva il problema di come riescano praticamente a mantenere fluido il traffico con una densità così elevata. I nostri esperimenti hanno mostrato che cosa succede e ci hanno permesso di elaborare un modello teorico di ciò che può essere all'origine di questo comportamento."

Nello studio i ricercatori hanno rilevato che le formiche tendono a formare plotoni nei quali tendo a muoversi con velocità quasi identiche, riuscendo a viaggiare molto vicine pur mantenendo la loro velocità. All'aumentare della densità, i plotoni si fondono ma le formiche conservano la stessa distanza l'una dall'altra riuscendo così procedere comunque alla stessa velocità.

"Per le formiche un sistema di trasporto efficiente è vitale per la colonia. Non sorprende quindi che l'evoluzione abbai ottimizzato il comportamento delle formiche. D'altra parte i sistemi di trasporto umani riflettono un certo desiderio di libertà e di individualità. A differenza del traffico delle formiche, in quello umano dominano due cose: il comportamento egoistico (non cooperativo) e le dimensioni e il peso dei veicoli, a causa dei quali qualsiasi contatto sarebbe estremamente 'costoso' ".

"Dal punto di vista ingegneristico, i risultati ci danno alcune indicazioni sul modo di migliorare il traffico sulle autostrade. Come mostra l'esempio del tracciato seguito dalle formiche, un comportamento non egoistico può migliorare la situazione per tutti. La cosa è però difficile da ottenere perché, in netto contrasto con le formiche, i guidatori e le macchine hanno un atteggiamento molto diverso. Un altro punto interessante è però la comunicazione fra i veicoli. Lungo il tracciato delle formiche questa avviene per lo più su base chimica, ma in futuro le nostre auto potrebbero essere collegate elettronicamente e trasmette per esempio istantaneamente informazioni sui cambiamenti di velocità, cosa che potrebbe consentire al guidatore che segue di reagire molto più velocemente alla nuova situazione."