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martedì 23 giugno 2009

Atmosfera: mai così tanto CO2 come ora

In due milioni di anni i picchi di CO2 hanno raggiunto in media solo le 280 parti per milione, mentre attualmente si registrano 385 parti per millione, il 38 per cento in più


Un gruppo di ricercatori ha ricostruito i livelli di biossido di carbonio atmosferico degli ultimi 2,1 milioni di anni con un dettaglio finora mai raggiunto, gettando luce sul ruolo di questo gas nelle dinamiche climatiche della Terra.

Lo studio, pubblicato sull'ultimo numero della rivista “Science”, è l'ultimo in ordine cronologico a escludere una diminuzione del CO2 come causa dell'ampliamento e dell'intensificazione delle ere glaciali a partire da 850.000 anni fa. Nonostante ciò, esso confermerebbe il sospetto di molti ricercatori che i più alti livelli di CO2 coincisero con i più caldi intervalli compresi nel periodo di studio.

I risultati mostrano che i picchi nei livelli di CO2 in tale ampio arco di tempo raggiungevano in media solo 280 parti per milione, mentre attualmente si registrano 385 parti per millione, ovvero il 38 per cento in più.

Nello studio, Bärbel Hönisch geochimico del Lamont-Doherty Earth Observatory insieme con alcuni colleghi ha analizzato i resti di plancton sepolti sul fondo dell'Oceano Atlantico, al largo delle coste dell'Africa. Grazie alla datazione dei campioni e alla misurazione dei rapporti isotopici del boro, si è riusciti a stimare la quantità di CO2 presente nell'aria all'epoca della formazione degli strati di conchiglia.

Il metodo ha permesso di procedere all'indietro nel tempo più che nel caso dell'analisi delle carote polari, che arrivano al massimo a 800.000 anni fa. Si tratta di un limite critico per la ricostruzione della storia climatica del pianeta, che ha attraversato ere glaciali cicliche per milioni di anni.

A partire da 850.000 anni fa, invece, tali cicli diventarono più lunghi e più intensi, un fenomeno, questo, attribuito da alcuni studiosi alla diminuzione dei livelli di CO2. Quest'ultimo studio, però, ha riscontrato livelli stabili di CO2 nel corso di tale transizione, dimostrando come il rapporto di causa effetto sia in realtà improbabile.

"Precedenti studi hanno mostrato come la CO2 non sia cambiata negli ultimi 20 milioni di anni, ma la risoluzione non è mai stata sufficiente per rendere le conclusioni definitive”, ha spiegato Hönisch. “Nel nostro caso, invece, il collegamento non è stato suggerito, anche se si è evidenziato ancora una volta come i gas serra e il clima globale siano intrinsecamente collegati”.

giovedì 4 giugno 2009

Zanzare che sfidano i rettili


Le zanzare delle Galapagos si sono adattate a pungere anche tartarughe e iguane marine, rischiando di contagiare questi animali con malattie importate attraverso il sempre più intenso flusso turistico.

Le tartarughe giganti delle Galapagos e altre specie caratteristche di quelle straordinarie isole rischiano di dover affrontare una nuova pericolosa sfida: le malattie che possono essere trasmesse da alcune zanzare locali che hanno sviluppato una singolare attrazione per il sangue dei rettili.

Come riferiscono in un atricolo pubblicato sui "Proceedings of the National Academy of Sciences" (PNAS), i ricercatori della Zoological Society of London e del Parco Nazionale delle Galapagos hanno infatti scoperto che mentre le zanzare continentali della specie Aedes taeniorhynchus continuano a preferire il sangue dei mammiferi e occasionalmente degli uccelli, quelle che vivono sulle Galapagos hanno spostato le loro "attenzioni" verso i rettili (e in particolare le tartarughe giganti e le iguane marine), un fatto che, alla luce del continuo aumento del flusso turistico, alimenta i timori che questi cambiamenti possano devastare un ecosistema unico.

Grazie a una serie di analisi genetiche, i ricercatori hanno mostrato come le zanzare che hanno colonizzato le Galapagos non siano state introdotte dall'uomo, come finora si pensava, ma che vi arrivarono circa 200.000 anni fa, un tempo sufficiente a spiegare tutta un'altra serie di adattamenti che hanno potuto riscontrare. A differenza delle popolazioni continentali che normalmente vivono nelle paludi e nelle foreste di mangrovie costiere, le zanzare delle Galapagos vivono e si riproducono anche all'interno delle isole e fino a un'altitudine di 700 metri.

Secondo i ricercatori l'adattamento ai rettili fu legato alla scarsità di mammiferi sulle isole prima che vi arrivasse l'uomo 500 anni fa.

"Le differenze genetiche fra le zanzare delle Galapagos e i loro parenti continentali sono grandi quanto quelle fra due specie differenti: ciò suggerisce che ci troviamo di fronte al processo di evoluzione di una nuova specie", ha detto Arnaud Bataille, uno dei ricercatori.

"Con il turismo in rapida crescita, aumentano molto le possibilità che una zanzara affetta da qualche malattia sia trasportata per aereo dal continente", ha aggiunto Andrew Cunningham, un altro degli autori dello studio. "Se un nuovo patogeno arriverà per questa via, c'è il timore che possa essere assorbito dalle zanzare locali per poi diffondersi a tutto l'arcipelago."

Le autorità dell'Ecuador hanno stabilito proprio recentemente che gli aerei per le Galapagos siano sottoposti a periodica disinfestazione dalle zanzare, ma i ricercatori sperano che tale misura sia presto assunta anche nei confronti delle navi, da carico e no.

martedì 2 giugno 2009

Un topo (quasi) "parlante"


Topi geneticamente modificati per avere il gene FOXP2 simile a quello umano, hanno acquisito una più fine capacità di controllo delle proprie emissioni vocali.

Non possono certo parlare, ma topi ingegnerizzati per avere una "versione umanizzata" di un gene hanno molto da dire sul processo evolutivo che ha portato la nostra specie a padroneggiare il linguaggio parlato. E' questa la conclusione di una ricerca condotta presso il Max-Planck-Institut per l'antropologia evoluzionistica, di cui viene riferito in un articolo pubblicato su "Cell".

"Con questo studio possiamo intravedere che i topi possono essere utilizzati non solo per studiare le malattie, ma anche la nostra storia", ha detto Wolfgang Enard, che ha diretto la ricerca.

Il gruppo di lavoro di Enard si dedica in primo luogo allo studio delle differenze genetiche fra l'essere umano e gli altri primati. Una differenza importante fra uomo e scimpanzé che i ricercatori hanno osservato riguarda la sostituzione di due amminoacidi nel gene FOXP2. Questi cambiamenti si sono stabiliti dopo che la linea filogenetica dell'uomo si è separata da quella dello scimpanzé: i primi studi avevano messo in evidenza che quel gene era stato oggetto di selezione positiva, inducendo i ricercatori a ritenere anche che quel cambiamento evolutivo fosse in relazione a qualche significativo aspetto della capacità di parlare e del linguaggio.

"I cambiamenti in FOXP2 sono avvenuti nel corso dell'evoluzione umana e sono i migliori candidati a spiegare perché possiamo parlare. La sfida è quella di studiarli dal punto di vista funzionale", ha osservato Enard, che ha sottolineato come per ragioni ovvie ciò non sia fattibile sull'uomo, ma neppure sullo scimpanzé.

Nello studio in questione, i ricercatori hanno così introdotto quelle due sostituzioni nel gene FOXP2 del topo, dato che la versione murina di quel gene è sostanzialmente identica a quella dello scimpanzé, una circostanza che rende plausibile che essa rappresenti anche un modello ragionevole della forma ancestrale della versione umana del gene.

Dall'analisi del risultato di questa operazione i ricercatori hanno così potuto rilevare che i topi con la versione umana di FOXP2 mostrano cambiamenti in quei circuiti cerebrali che nell'uomo si sanno essere in relazione con la capacità di parlare. I topi geneticamente modificati mostrano anche differenze qualitative nelle vocalizzazioni che essi emettono quando vengono collocati al di fuori della loro tana originaria. Tuttavia, osserva Enard, sappiamo ancora tropo poco sulla comunicazione nel topo per poter dire che cosa possano significare esattamente questi cambiamenti.

Anche se FoxP2 è attivo in molti altri tessuti, la versione alterata non sembra comportare altri effetti sui topi, che sono apparsi in buona salute.

Queste differenze, osservano i ricercatori, aprono uno squarcio sull'evoluzione della capacità cerebrale di parlare e del linguaggio: ora gli scienziati cercheranno di approfondire i meccanismi molecolari alla base degli effetti del gene e la loro possibile relazione con le differenze fra uomo e grandi scimmie.

"Al momento possiamo solo speculare sul ruolo che questi effetti possono avere avuto nel corso dell'evoluzione umana. Tuttavia, dato che i pazienti portatori di una versione non funzionale di un allele del gene FOXP2 mostrano difficoltà nella temporizzazione e nella giusta messa in sequenza dei movimenti orofacciali, è possibile che le sostituzioni in FOXP2 abbiano contribuito alla calibrazione fine del controllo motorio necessario all'articolazione del parlato, ossia alla capacità unica dell'uomo a imparare a coordinare i movimenti muscolari nei polmoni, nella laringe e nelle labbra che sono necessari per parlare. Siamo fiduciosi che studi coordinati sul topo, su altri primati e sull'uomo alla fine chiariranno se è effettivamente così", ha concluso Enard.