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martedì 24 novembre 2009

Down: si può sperare in future terapie farmacologiche

Uno studio sperimentale sul modello animale della sindrome di Down suggerisce che in futuro potrebbe essere perseguibile la via farmacologica per alleviare il deficit mentale.

Uno studio sperimentale condotto su un modello animale della sindrome di Down suggerisce per la prima volta che vi sia la possibilità - in prospettiva - di alleviare per via farmacologica alcune manifestazioni del deficit mentale legato alla malattia.

Nello studio ("Restoration of Norepinephrine-Modulated Contextual Memory in a Mouse Model of Down Syndrome"), condotto presso la Stanford University School of Medicine e il Lucile Packard Children's Hospital e pubblicato sulla rivista "Science Translational Medicine", i ricercatori sono infatti riusciti a mostrare che in un gruppo di topi geneticamente ingegnerizzati per riprodurre la sindrome di Down, il precoce potenziamento della via di segnalazione della noradrenalina ha migliorato le loro capacità cognitive.

Alla nascita, hanno osservato i ricercatori, i bambini Down non sono in ritardo nello sviluppo cerebrale, ma questo con il tempo si accumula in correlazione a una difficoltà a far tesoro delle esperienze necessarie a un normale sviluppo cerebrale. "Se si interviene abbastanza presto si potrà essere in grado di aiutare i bambini con la sindrome di Down a raccogliere e modulare l'informazione. In linea teorica questo potrebbe portare a un miglioramento delle loro funzioni cognitive", ha detto Ahmad Salehi, primo autore dello studio e attualmente in forza presso il Veterans Affairs Palo Alto Health Care System.

I ricercatori sono partiti dall'osservazione che nella sindrome di Down la cognizione non è colpita in tutti i suoi aspetti: chi ne soffre tipicamente ha difficoltà a gestire informazioni spaziali e contestuali di un ambiente complesso, che dipendono dell'ippocampo, ma ricorda molto meglio l'informazione legata a colori, suoni e altri stimoli sensoriali la cui memoria è coordinata da un'altra struttura cerebrale, l'amigdala.

Salehi e colleghi hanno quindi osservato che quando formano le tracce mnemoniche contestuali e relazionali i neuroni dell'ippocampo ricevono noradrenalina dai neuroni di un'altra area cerebrale, il locus coeruleus. Quest'ultimo, però, nell'essere umano affetto da sindrome di Down come nel topo ingegnerizzato va incontro a una veloce degenerazione.

Somministrando precocemente precursori della noradrenalina a un gruppo di esemplari del loro modello animale, i ricercatori sono riusciti a migliorarne le prestazioni, anche se gli effetti dei farmaci sono stati di breve durata.

Altri studi avevano già preso in considerazione gli effetti di un altro neurotrasmettitore, l'acetilcolina, che anch'esso ha un ruolo di primo piano nell'ippocampo. Secondo Salehi questi risultati aprono la prospettiva allo studio di eventuali trattamenti che contemplino il potenziamento congiunto di questi neurotrasmettitori.

Lo studio ha anche individuato un legame diretto fra la degenerazione del locus coeruleus e uno specifico gene, l'APP, di cui le persone affette da sindrome di Down possiedono una copia in più sul cromosoma 21 extra. APP è il gene che codifica la proteina precursore della proteina amiloide, coinvolto anche nella malattia di Alzheimer, anch'essa caratterizzata da problemi sia di formazione della memoria, sia di orientamento spaziale.

mercoledì 18 novembre 2009

Scoperta la "centrale energetica" delle barriere coralline

Le spugne della specie Halisarca caerulea crescono in profonde e oscure cavità al di sotto delle barriere, e il 90 per cento della loro dieta è costituito da carbonio organico disciolto, che viene convertito in cellule cenocitiche utilizzabili da tutte le specie marine.


Le barriere coralline supportano uno degli ecosistemi più diversificati del pianeta, e possono vivere anche in una sorta di “deserto marino”. Ma come fanno a sostenere una tale abbondanza di vita?


Ora il biologo marino Fleur Van Duyl del Regio istituto olandese per la ricerca marina ha analizzato il “budget” energetico che supporta le barriere coralline in un ambiente altrimenti molto povero.

Insieme al collega Jasper De Goeij, ha così scoperto che le spugne della specie Halisarca caerulea crescono in profonde e oscure cavità al di sotto delle barriere, e che il 90 per cento della loro dieta è costituito da carbonio organico disciolto, che risulta invece non sfruttabile dalla maggior parte delle specie residenti nelle barriere coralline.

In particolare, secondo le misure dei due ricercatori, queste spugne dal colore vivo consumano ogni giorno una quantità di carbonio pari alla metà del loro peso e hanno una proliferazione cellulare estremamente veloce, verificata grazie a una complessa marcatura del DNA con una sostanza denominata 5- bromo-2′-deossiuridina (BrdU), anche se non crescono affatto.

Ulteriori studi hanno consentito di verificare che le spugne rilasciano un gran numero di cellule cenocitiche nell’ambiente circostante, che entrano nella catena alimentare delle specie che vivono nelle barriere coralline.

Halisarca caerulea è la grande ‘centrale di riciclaggio’ dell’energia della barriera corallina, poiché riesce a convertire ciò che nessun’altra specie utilizza, il carbonio organico disciolto, in energia universalmente utilizzabile: i cenociti che scarta”, ha concluso De Goeij, che firma in proposito un articolo sulla rivista "Journal of Experimental Biology"

martedì 17 novembre 2009

Accelera la perdita di ghiaccio della Groenlandia

Le recenti estati calde hanno accelerato la perdita di massa che ora arriva a 273 gigatonnellate all'anno, con un innalzamento globale del livello del mare di 0,75 millimetri all'anno.
Due metodi diversi, uno basato su una serie di osservazioni e l'altro su un modello atmosferico regionale, hanno confermato in modo indipendente l'uno dall'altro l'accelerazione del ritmo di perdita di massa glaciale da parte della Groenlandia.

Secondo quanto riportato sulla rivista "Science", tale massa è ugualmente distribuita tra un aumento della produzione di iceberg, alimentata dall'accelerazione dello scorrimento delle lingue di ghiaccio, e l'incremento della fusione di acqua sulla superficie della calotta.

Le recenti estati calde hanno ulteriormente accelerato la perdita di massa che, nel periodo 2006-2008, è arrivata a 273 gigatonnellate all'anno, ripercuotendosi in un innalzamento globale del livello del mare di 0,75 millimetri all'anno.

Secondo Jonathan Bamber ricercatore dell'Università di Bristol, nel Regno Unito, e coautore dell'articolo, “è chiaro da questi risultati come la perdita di massa dalla Groenlandia abbia subito un'accelerazione a partire dai tardi anni novanta del Novecento, e le cause che sono alla base di questo fenomeno fanno ipotizzare che questo trend continuerà anche nel prossimo futuro. Siamo riusciti a produrre un accordo tra due stime completamente indipendenti tra loro, il che consente di avere estrema confidenza nei dati numerici trovati e sulle nostre ipotesi sui processi in corso.”

Secondo le stime, la coltre glaciale groenlandese è formata da una massa d'acqua tale da causare in caso di completa fusione un aumento dei livelli del mare di sette metri. A partire dal 2000, la perdita di massa glaciale è stata di circa 1500 gigatonnellate in totale, un processo che corrisponde a un innalzamento globale degli oceani di circa mezzo millimetro all'anno, pari a 5 millimetri complessivamente dal 2000.

Allo stesso tempo, la fusione della superficie ha subito un incremento a partire dal 1996, ma le precipitazioni nevose sono anch'esse aumentate, mascherando il fenomeno della fusione per circa un decennio. Inoltre, una parte significativa dell'acqua fusa è tornata allo stato solido formando una coltre nevosa a bassa temperatura che ricopre la calotta di ghiaccio. Senza la moderazione del processo dovuta a questi effetti, concludono gli autori, la perdita di ghiaccio dopo il 1996 sarebbe stata all'incirca doppia di quella osservata.