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sabato 26 settembre 2009

Petrolio dalla sabbia

Lo sfruttamento sicuro dei depositi delle sabbie bitumose dipende dalla messa a punto di metodi sostenibili per separare questi inquinanti.


Microbiologi della Università dell'Essex, nel Regno Unito, hanno utilizzato alcuni microrganismi per scindere e rimuovere composti tossici del petrolio greggio dalle sabbie bitumose. Questi composti acidogeni rimangono nell'ambiente dissolvendosi in circa 10 anni.

Il nuovo metodo, presentato da Richard Johnson, nel corso del convegno della Society for General Microbiology, in corso presso la Heriot-Watt University di Edinburgo, utilizza infatti una miscela di batteri che degradano completamente alcuni specifici composti in soli pochi giorni.

I depositi di sabbia bitumosa contengono la più ampia riserva di petrolio del pianeta e i produttori stanno pensando di sfruttarli a fini commerciali, tenuto conto anche della futura scarsità del greggio ricavato con le estrazioni convenzionali. Tuttavia, il processo di estrazione dalla sabbia produce alte concentrazioni di prodotti di scarto tossici.

I più tossici di tali composti sono le miscele di acidi naftenifici che si degradano molto difficilmente e persistono come inquinanti nell'acqua utilizzata per estrarre petrolio e bitume dalla sabbia, che viene raccolta in ampi bacini.

Uno dei problemi sottolineati da questo come da altri lavori è che il numero e le dimensioni di questi bacini contenenti quantità letali di acidi naftenici sta crescendo quotidianamente e si stima esista circa un miliardo di metri cubi di acqua contaminata nella sola località di Athabasca, in Canada.

Lo sfruttamento sicuro dei depositi delle sabbie bitumose dipende dalla messa a punto di metodi sostenibili per separare questi inquinanti.

"La struttura chimica degli acidi naftenici che abbiamo studiato è varia", ha commentato Johnson. "Alcuni di essi hanno più bracci laterali rispetto ad altri: i microbi possono scindere le varietà con pochi bracci molto velocemente mentre gli acidi naftenici più complessi non si scindono completamente. Stiamo ora mettendo insieme vari approcci di biorisanamento per rimuovere in modo efficace tutti gli acidi naftenici dall'ambiente."

Alla ricerca di forme di vita "esotica"

Un gruppo internazionale di ricerca sta studiando la possibilità che solventi diversi dall'acqua possano permettere lo sviluppo di forme di vita alternative a quelle possibili in un ambiente planetario di tipo terrestre.

Allo European Planetary Science Congress appena conclusosi a Potsdam, in Germania, un gruppo di ricerca coordinato da Maria Firneis e Johannes Leitner dell'Università di Vienna ha presentato le linee di un progetto per l'identificazione di marcatori biologici relativi a possibili forme di vita esotiche su altri pianeti, ossia forme di vita che non sfruttino come solvente vitale l'acqua.

Attualmente i pianeti che possono ospitare la vita vengono cercati all'interno di quella che è considerata la zona abitabile attorno alla loro stella e l'attenzione si appunta su quelli dotati di un'atmosfera in cui siano presenti biossido di carbonio, vapore acqueo e azoto, e sulla cui superficie potrebbe esserci acqua allo stato liquido. Quindi si va alla ricerca di marcatori che potrebbero essere prodotti dal metabolismo di forme di vita simili a quelle che ospita il nostro pianeta, per le quali l'acqua funge da solvente e i mattoni costitutivi sono rappresentati dagli amminoacidi formati sostanzialmente da atomi di carbonio e ossigeno. Queste tuttavia, osservano i ricercatori, non è affatto detto che siano le uniche condizioni in cui possa svilupparsi la vita.

“E' tempo di fare un radicale cambiamento nella nostra concezione geocentrica della vita”, ha dichiarato Leitner. “Anche se questo è il solo tipo di vita che conosciamo, non si può escludere che da qualche parte si siano evolute forme di vita che non siano in rapporto né con l'acqua né con un metabolismo basato sul carbonio e sull'ossigeno.”

Una delle condizioni necessarie a sostenere la vita è che il solvente resti liquido per un ampia gamma di temperature: ciò vale per l'acqua fra 0°C e 100°C, ma esistono altri solventi che permangono allo stato liquido a più di 200 °C. Solventi simili potrebbero formare oceani anche su pianeti che ben più vicini alla loro stella di quanto si possa supporre in base alla definizione di zona abitabile basata sulle condizioni terrestri.

Ma potrebbe presentarsi anche la situazione opposta: un oceano di ammoniaca liquida può esistere a distanze superiori a quella tipica della zona abitabile per forme di vita di tipo terrestre; e parte della superficie di Titano è occupata da oceani di metano ed etano.

Il gruppo di ricerca, che ha base a Vienna, ma collabora con diversi centri internazionali, sta così studiando le proprietà di un'ampia gamma di solveti differenti dall'acqua per individuare la loro eventuale capacità di originare e far evolvere forme di vita alternative.